Lavorare 4 o 5 giorni alla settimana?
Il cervello ha bisogno di riposo
In queste ultime settimane ha fatto molto parlare di sé la ricerca dell’Università di Cambridge, che ha condotto uno studio sperimentale sulla cosiddetta “settimana corta”. Lo studio ha voluto analizzare l’impatto che ha il diminuire da cinque a quattro giorni la settimana lavorativa. Uno studio sul sonno ha inoltre scoperto come il “sistema glinfatico” svolge un ruolo fondamentale nell’eliminazione dei rifiuti, andando a prevenire l’insorgenza dell’Alzheimer e della demenza. Infine, i dati sulla crescita esponenziale dei disturbi psicologici in Italia negli ultimi anni, con relativo aumento della spesa pubblica, sottolinea il bisogno di nuove idee per una buona qualità della vita.
La settimana di cinque giorni lavorativi come noi la conosciamo ha la sua nascita ad inizio del 1900, quando si iniziarono ad istituire le festività nel weekend per i credenti ebrei e cristiani. Oggi si continua a discutere sulla riduzione dei giorni lavorativi, che avrebbe una serie di impatti non solo sulla produttività, ma anche sulla salute psicofisica.
Partendo dallo studio dell’Università di Cambridge, si nota come i dati sembrano certificare come la riduzione abbia un impatto positivo. All’esperimento hanno preso parte 61 realtà del Regno Unito, che per sei mesi hanno ridotto l’orario di lavoro per tutto il personale, lasciando invariato lo stipendio. Queste aziende sono state formate da realtà che hanno già adottato la settimana corta, con appositi seminari. Per l’esperimento sono state selezionate aziende di vari settori: negozi, fornitori di servizi, consulenti, personale all’assistenza sanitaria. Alla fine dei sei mesi, i dati sono netti: il 92% delle aziende partecipanti ha dichiarato di voler mantenere la settimana con quattro giorni lavorativi, alcune delle quali in modo permanente. A livello produttivo è emerso che la settimana corta ha portato i dipendenti a cercare soluzioni più efficienti e meno dispendiose per portare a termine le proprie mansioni. Sono state sperimentate riunioni più brevi mediante ordini del giorno più chiari e definiti; un utilizzo più organizzato della posta elettronica; l’uso di liste di attività da svolgere preparate in anticipo. “Visto il binomio sempre più problematico che lega la salute mentale alla produttività sul lavoro e all’efficienza dei processi aziendali, esperimenti come questo rappresentano un importante traguardo per costruire soluzioni adeguate per tutti e basate sui dati” (articolo uscito su will media il 22 febbraio 2023). I dati ricavati dall’Università di Cambridge, infatti, denotano che alla fine dell’esperimento i ricavi delle aziende partecipanti è rimasto invariato. Parallelamente, il 39% dei lavoratori ha percepito un calo dello stress e il 71% dei lavoratori ha riportato un calo dei sintomi di “burnout”. I giorni di malattia sono diminuiti del 65%.
“La settimana corta ha portato i dipendenti a cercare soluzioni più efficienti e meno dispendiose per portare a termine le proprie mansioni”
Tra i dati analizzati spicca come l’aumento della qualità della vita abbia dato un significativo nuovo slancio ai dipendenti. Ricordiamo che il sonno è quello che permette al cervello di riposare, ma i ritmi di stress che la società e il lavoro hanno creato, non sono da tutti sostenibili. Gli scienziati hanno scoperto che, durante il sonno e specificamente durante il sonno REM, si attiva il cosiddetto “sistema glinfatico”. Si tratta di un sistema fino ad ora sconosciuto del nostro cervello, che si comporta come un vero sistema di smaltimento dei rifiuti che il nostro metabolismo cerebrale accumula durante il giorno e, specificamente, durante l’attività lavorativa. Ed è quindi evidente che limitare questa attività e permettere un buon funzionamento del sistema glinfatico fa “bene alla salute mentale”, previene l’Alzheimer e le demenze. Nello specifico, il sistema glinfatico è un sistema macroscopico di eliminazione dei rifiuti recentemente scoperto che utilizza un sistema unico di tunnel perivascolari, formati da cellule astrogliali, per promuovere un’efficiente eliminazione delle proteine solubili e dei metaboliti dal sistema nervoso centrale. Oltre all’eliminazione dei rifiuti, il sistema glinfatico facilita anche la distribuzione a livello cerebrale di diversi composti, tra cui glucosio, lipidi, aminoacidi, fattori di crescita e neuromodulatori. Curiosamente, il sistema glinfatico funziona principalmente durante il sonno ed è in gran parte disattivato durante la veglia. Il bisogno biologico di dormire in tutte le specie può quindi riflettere che il cervello deve entrare in uno stato di attività che consenta l’eliminazione di prodotti di scarto potenzialmente neurotossici, incluso il β-amiloide. Poiché il concetto di sistema glinfatico è relativamente nuovo, vanno esaminati i suoi elementi strutturali di base, l’organizzazione, la regolazione e le funzioni. Studi recenti indicano che la funzione glinfatica è soppressa in varie malattie e che il fallimento della funzione glinfatica a sua volta potrebbe contribuire alla patologia nei disturbi neurodegenerativi, lesioni cerebrali traumatiche e ictus” (“The glymphatic system: a beginner guide” – Neurochem Res. / “The Brain’s Glymphatic System: Current Controversies” – Trends Neurosci.)
Queste ricerche sono inoltre importanti in un periodo storico dove i temi mondiali e lo stress sia sociale che ambientale, ha portato ad un decadimento dello stato psicofisico aggiuntivo che spesso non viene messo in conto. È sempre più palese la crescita dei disturbi psicologici: gli ultimi dati forniti dal provider globale di dati e report farmaceutici e sanitari – IQVIA hanno fatto emergere che negli ultimi 5 anni il consumo di farmaci antidepressivi in Italia è cresciuto del 10%. Andando ad analizzare il 2022, la spesa degli italiani per questi farmaci è stata di 288 milioni di euro e sono stati venduti più di 1 miliardo di dosi, in aumento rispetto ai 960 milioni del 2018. Lo studio rivela che il consumo è prevalente tra i giovani con il 25% di essi che soffre di depressione. Dinanzi questo quadro, diverse Regioni hanno allargato la spesa destinata al bonus psicologo che però, finora, riesce a coprire solo il 10% delle domande presentate. I sintomi dello stress, dell’ansia, della depressione e della fragilità emotiva sono sempre più diffusi in Italia che oggi risulta essere il 21esimo paese al mondo per spesa sanitaria nel settore psicologico-emotivo.